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Se le spese di spedizione della fattura possono essere addebitate al cliente.-
Se le spese di spedizione della fattura possono essere addebitate al cliente



La Corte di Cassazione, Sez. III civ., con la sent. n. 3532 del 13 febbraio 2009 ha espresso il seguente principio: “La spedizione della fattura al cliente deve considerarsi momento diverso e successivo rispetto a quello dell’emissione della fattura stessa. Devono pertanto considerarsi legittimi gli addebiti relativi alle spese di spedizione postale della fattura dei costi del servizio”
In altre parole, per la prima volta la Corte di cassazione affronta la questione dell’addebito al cliente delle spese di spedizione postale della fattura, dichiarandone la legittimità. La sentenza è condivisibile perché l’invio della fattura tramite il servizio postale soddisfa esclusivamente un interesse del cliente, il che giustifica pienamente il fatto che il relativo costo sia posto a suo carico. Né indicazioni contrarie sembrano potersi trarre dalla disciplina IVA sulla fatturazione prevista dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, in quanto detta norma non istituisce una corrispondenza tra la nozione di «emissione della fattura» e quella di «spedizione della fattura al cliente»; essa sembra infatti rispondere soltanto alla finalità di individuare il momento in cui la fattura assume rilievo ai fini di tutti i successivi adempimenti tributari previsti dalla normativa IVA.
La sentenza della Cassazione n. 3532 del 2009 affronta per la prima volta una questione che contrappone consumatori e società erogatrici di servizi in un vasto contenzioso, nell’ambito del quale sono maturati differenti orientamenti dei giudici di merito, come osserva la stessa Corte. Si tratta in particolare dell’addebito delle spese di spedizione postale della fattura, addebito previsto nel contratto di fornitura del servizio con una clausola ritenuta nulla dalla sentenza del Tribunale che è stata cassata dalla Corte per violazione dell’art. 21, ottavo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Tale disposizione prevede che «le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo». Benché contenuta nel decreto IVA, essa è diretta esclusivamente a regolare i rapporti tra soggetti privati, e cioè tra chi emette e chi riceve la fattura; di qui la giurisdizione del giudice civile. La questione però necessariamente coinvolge aspetti fiscali, seppur non attinenti al rapporto di imposta, con particolare riguardo all’adempimento di emissione della fattura.
La Corte, nel risolvere - correttamente - la controversia nel senso della validità della clausola e della
prassi di addebitare al cliente le spese postali per la spedizione della fattura, non si è sottratta all’esame di questi aspetti fiscali, con affermazioni di dubbio interesse.
Il comma ottavo non era contenuto nella formulazione originaria dell’art. 21 del decreto IVA, ma è
stato introdotto soltanto successivamente, ad opera del D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687 - recante disposizioni integrative e correttive della disciplina del tributo - senza che vi fossero corrispondenti disposizioni nella normativa comunitaria di riferimento, cui è del tutto estranea la regolazione dei rapporti interni tra i soggetti coinvolti nel prelievo.
Come si legge nella relazione ministeriale allo schema del D.P.R. n. 687/1974, questa disposizione fissa il principio per cui «gli obblighi relativi all’emissione della fattura, come quelli relativi ai successivi adempimenti, essendo imposti ai fini dell’applicazione del tributo non possono costituire titolo per addebito specifico delle relative spese ». La questione che si è posta con riferimento ad essa è dunque se le spese postali per la spedizione della fattura siano o meno riconducibili a quelle sostenute per l’emissione o per i successivi adempimenti e formalità, delle quali è vietato l’addebito.
Si noti, al riguardo, che la sentenza del Tribunale cassata dalla Corte, oltre a ritenere che le spese di spedizione sono comprese tra quelle di cui è vietato l’addebito, aveva anche ritenuto che la norma in esame fosse di carattere imperativo, e tale quindi da determinare la nullità della clausola contrattuale che invece consente tale addebito. Anche questo ultimo aspetto meriterà qualche considerazione. Il comma in esame, come si è visto, si riferisce testualmente alle spese di «emissione» della fattura; ciò consente di circoscrivere il suo ambito applicativo agli adempimenti amministrativi propri del soggetto passivo, relativi alla formulazione, compilazione e stampa del documento - ovvero a tutte le attività necessarie alla creazione di un documento valido ai fini fiscali - e non anche alle spese che il medesimo sostiene per far pervenire il documento nella sfera giuridica del debitore.
Questa conclusione è confermata dalla circostanza che la stessa norma fa riferimento non solo alle spese di emissione, ma anche ai «conseguenti adempimenti e formalità», e quindi alla registrazione, alla conservazione, ecc. e cioè esclusivamente ad oneri amministrativi interni che la legge IVA pone a carico del contribuente.
In questo senso è del resto chiara la già citata relazione ministeriale al D.P.R. n. 687/1974 nella quale si fa riferimento proprio a quegli adempimenti «imposti ai fini dell’applicazione del tributo» che «non possono costituire titolo per addebito specifico delle relative spese». L’art. 21, ottavo comma, del D.P.R. n. 633/1972 sembra dunque una disposizione diretta ad assicurare che i costi degli adempimenti non traslino (perlomeno in modo «specifico», come precisa la relazione) sull’acquirente. Si tratta insomma di una disposizione che sembra porsi sullo stesso piano delle numerose norme del Codice civile che disciplinano in ambito contrattuale la materia delle spese. In questa ottica, la norma in esame appare perfettamente derogabile da una diversa volontà delle parti e non si ravvisa in essa alcun carattere imperativo. Carattere che - sia detto per incidens - non è affatto pacifico che possiedano neanche le norme impositive in senso stretto, che regolano il rapporto tra contribuenti ed Erario.
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