Se è legittimo il testamento che subordini l'efficacia delle disposizioni in favore dell'erede alla circostanza che lo stesso contragga matrimonio
Illecita la condizione di matrimonio apposta alla disposizione testamentaria
Sposarsi è una libera scelta, tutelata anche dalla Costituzione. I genitori non possono imporla neppure con un testamento: infatti, il lascito non può essere condizionato al fatto che l’erede si sposi.
Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione che ha accolto il ricorso di un uomo il cui padre, nel testamento, aveva condizionato il lascito al fatto che lui si risposasse.
"Il vincolo matrimoniale e’ e deve rimanere una libera scelta autoresponsabile, scrivono i giudici, attenendo ai diritti intrinseci ed essenziali della persona umana e pertanto esso di sottrae a ogni forma di condizionamento".
Insomma, affermano i magistrati di Piazza Cavour in fondo alle motivazioni, "la condizione, apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini l'efficacia della stessa alla circostanza che l'istituito contragga matrimonio, è ricompresa nella previsione dell'art. 634 cod. civ. ed è, pertanto, illecita, in quanto contraria al principio della libertà matrimoniale tutelato dagli artt. 2 e 29 della Costituzione. Essa, pertanto, si considera non apposta, salvo che non abbia costituito l'unico motivo determinante della volontà del testatore, nel qual caso rende nulla la disposizione testamentaria".
Sulla base di questo principio la Suprema corte ha accolto il ricorso di un erede destinatario di un testamento condizionato dal padre, improvvisamente scomparso, al fatto che lui, già separato, si sposasse una seconda volta.
L uomo aveva impugnato il testamento di fronte al Tribunale di Firenze che gli aveva dato ragione. Poi il vento era cambiato di fronte alla Corte d Appello che aveva invece ritenuto valide le volontà del padre. Ma la Cassazione ha rovesciato questa decisione, dichiarando illecita la condizione dell’anziano signore.
ESTRATTO DELLA SENTENZA: “La condizione, apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini la efficacia della stessa alla circostanza che l’istituito contragga matrimonio, è ricompresa nella previsione dell'art. 634 cod. civ., in quanto contraria alla esplicazione della libertà matrimoniale, fornita di copertura costituzionale attraverso gli artt. 2 e 29 Cost. Pertanto, essa si considera non apposta, salvo che risulti che abbia rappresentato il solo motivo ad indurre il testatore a disporre, ipotesi nella quale rende nulla la disposizione testamentaria”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 28 ottobre 2008 - 15 aprile 2009, n. 8941
(Presidente Elefante - Relatore Sangiorgio)
Svolgimento del processo
1. - Con atto di citazione notificato il 19 maggio 1999, L. B. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Siena la sorella A. L. ed il figlio di costei, B. M., esponendo che il omissis era deceduto il padre, L. F., dopo aver disposto delle proprie sostanze con testamento olografo del omissis, con il quale aveva attribuito, a titolo di prelegato, allo stesso B. un appartamento con annesso garage in omissis, alla via omissis, ed alla figlia A. un appartamento in omissis, nominando, nel resto, eredi universali entrambi i figli, ed assegnando un legato di non rilevante entità al nipote M..
Il testamento, tuttavia, disponeva anche nel modo seguente: “Qualora al momento dell'apertura della mia successione mio figlio B. non si sarà risposato, ad esso lascio, in sostituzione della legittima a lui spettante per legge, l’usufrutto generale vitalizio della suddetta casa di via omissis, nonché di tutti gli altri miei beni ad eccezione della casa di omissis, come sopra attribuita a mia figlia A., alla quale sarà devoluta anche la nuda proprietà degli altri beni, in considerazione del fatto che essa è madre di due figli”.
Ciò premesso, B. L. chiese dichiararsi come non apposta detta condizione, e comunque nulla la relativa disposizione, e dichiararsi valida solo la prima parte del testamento in cui l'eredità veniva attribuita ad entrambi i figli in parti uguali, con la sola specificazione dei due prelegati relativi ai due immobili sopra menzionati. Dedusse, a tal fine, l'attore che la condizione di cui si tratta era per un verso impossibile, non sussistendo, all'epoca dell'apertura della successione, le condizioni di diritto perché egli, ancora vincolato dal precedente matrimonio, seppure in fase di separazione, potesse contrarre un nuovo vincolo coniugale; per l'altro, illecita, per riferimento estensivo all'art. 636 c.c., traducendosi la predetta condizione, attraverso la previsione di un trattamento più favorevole, in una inammissibile pressione sulla volontà dell'erede.
Con sentenza del 30 novembre 2001, il Tribunale adito accolse la domanda, dichiarando la nullità della disposizione testamentaria sottoposta alla riferita condizione, dichiarando, conseguentemente, quest'ultimo succeduto nella piena proprietà dell'immobile sito in omissis.
2. - Avverso la predetta sentenza A. L. e B. M. interposero gravame, che fu accolto dalla Corte d'appello di Firenze con sentenza depositata il 21 ottobre 2003. Il giudice di secondo grado dichiarò possibile e lecita la condizione apposta nel testamento di F. L., condannando L. B. al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte di merito, era anzitutto da escludere la configurabilità nella fattispecie di una condizione impossibile, sostenuta dal primo giudice sulla base del rilievo che, essendo il testatore deceduto prima di quando supponesse, non era ancora maturato il tempo per lo scioglimento del matrimonio di B.. Al riguardo, osservò la Corte che la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 634 c.c., relativa agli effetti della condizione impossibile apposta ad un testamento, si riferisce alla ipotesi di impossibilità originaria, ossia coeva alla redazione del testamento, e non a quella della impossibilità sopravvenuta. Nella specie, F. L., la cui età, all'atto della redazione della scheda testamentaria, non era particolarmente avanzata, aveva ragionevolmente ritenuto realizzabile la eventualità che il figlio B. contraesse un nuovo matrimonio in epoca precedente il suo decesso. Quanto alla deduzione relativa alla illiceità della condizione, essa si fondava su di un presupposto erroneo, e cioè sul convincimento che lo scopo cui il testatore aveva adattato le sue ultime volontà fosse quello di costringere il figlio a risposarsi, laddove la lettura del testamento non autorizzava, secondo il giudice di secondo grado, tale congettura, ma lasciava solo trasparire la volontà del testatore, forse condivisibile sul piano umano, di fare in modo che il suo patrimonio rimanesse in famiglia, senza nessun intento di servirsi della disuguaglianza fra le due soluzioni alternative come indebito strumento di pressione sulla libertà del chiamato di decidere in ordine ad un suo nuovo matrimonio.
Né, secondo la Corte territoriale, la ratio iuris dell'art. 636 c.c. ne autorizzerebbe l'applicazione all'ipotesi inversa a quella del divieto di nozze.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre B. L. sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resistono con controricorso A. L. e B. M..
Motivi della decisione
1. - Con la prima censura, si deduce la illogicità ed arbitrarietà della motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un punto decisivo della controversia, concernente la ricognizione della volontà del de cuius nel dettare, in alternativa, disposizioni testamentarie sottoposte a condizione sospensiva secondo la quale la devoluzione a titolo di coerede universale avrebbe avuto effetto in favore di B. L. se questi al momento dell'apertura della successione fosse risultato coniugato per la seconda volta, mentre, in caso contrario, allo stesso sarebbe spettato solo l'usufrutto su di una parte dell'asse ereditario. Tale ricognizione - da ricollegare necessariamente al principio della illiceità di una volontà testamentaria che, imponendo un determinato comportamento al chiamato, ne limiti la libertà di autodeterminazione - sarebbe stata, nella specie, viziata da una serie di errori di prospettiva. Anzitutto, la Corte di merito avrebbe ravvisato la entità ed il peso della condizione imposta dal testatore al figlio unicamente nell'essere lo stesso, al tempo dell'apertura della successione, coniugato, anziché in quella, ben più gravosa ed invasiva della sfera dei suoi sentimenti, dell'essere egli vincolato da coniugio con altra donna, diversa dalla prima moglie: condizione che avrebbe implicato la preclusione di ogni possibilità di riconciliazione con quest'ultima.
Un secondo errore di valutazione della volontà testamentaria viene ravvisato nella circostanza che la decisione impugnata avrebbe ritenuto la liceità della condizione in esame sulla base di considerazioni del tutto gratuite, sfornite di elementi probatori, tanto da essere definite nella stessa sentenza “congetture”, quale quella secondo la quale l'attuale ricorrente, se celibe, avrebbe potuto tenere “una condotta dissipatrice del patrimonio”, ovvero l'adombrato rischio che egli “pur di non favorire la sorella, e la sua discendenza, destinasse a terzi la sua roba”.
2. - Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 634 e 636 cod. civ. in relazione agli artt. 2, 3, primo comma, e 42, quarto comma, della Costituzione. Avrebbe errato la Corte territoriale nel dirigere la propria attenzione sul valore precettivo dell'art. 636 cod. civ., senza esaminare la controversia alla luce dell'art. 634 dello stesso codice, e, così, disconoscendo i rilievi della dottrina sulla ricomprensione della fattispecie di illiceità enunciata dal primo all'interno della categoria già fissata dal secondo, che, con una più ampia prospettiva, considera non apposte alle disposizioni testamentarie le condizioni che siano contrarie a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. Sulla base di tale erronea prospettiva, la Corte aveva poi affermato - face...
... continua