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QUESITO: le forme di tutela a disposizione del cliente in caso di inadempimento (mancata esecuzione dell’incarico ricevuto) da parte dell’agenzia immobiliare.-
PARERE: LE FORME DI TUTELA A DISPOSIZIONE DEL CLIENTE IN CASO DI INADEMPIMENTO (MANCATA ESECUZIONE DELL’INCARICO RICEVUTO) DA PARTE DELL’AGENZIA IMMOBILIARE


Il parere proposto solleva un problema di significativo rilievo pratico oltre che teorico. Per fornire una risposta esauriente, si ritiene opportuno un preliminare inquadramento del tema, che consentirà di pervenire più agevolmente alla soluzione del caso.
Appare evidente, infatti, che l’ammissibilità di un recesso - o, comunque, di una risoluzione per inadempimento, visto che qui il recesso viene invocato, a quanto pare, come mezzo di impugnazione del rapporto per giusta causa - è direttamente condizionata dalla configurazione giuridica che si intende attribuire all’istituto della mediazione.
Sotto questo profilo, allora, è utile ricordare, il primo luogo, che la definizione del suddetto istituto è codificata all'art. 1754 c.c., laddove è previsto che "è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza".
Tale definizione, singolare in quanto volta a qualificare il soggetto piuttosto che a descrivere la struttura del contratto, ha indotto taluni a dubitare che si potesse effettivamente parlare, qui, di negozio giuridico. In tal senso, può essere significativo citare l'orientamento di quella giurisprudenza di merito che, a sostegno della tesi della non contrattualità, ha affermato che "nessun contratto intercorre fra le parti nello schema tipico del rapporto di cui all’art. 1754 c.c.: il diritto del mediatore alla provvigione si fonda, infatti, su un “contatto sociale” dal quale possono scaturire obbligazioni “contrattuali” solo per il fatto di non essere riconducibili alla generale responsabilità per violazione del neminem laedere" (Tribunale di Monza, sentenza 11 luglio 2003 Giurisprudenza milanese, IPSOA, 2002, 8-9, 336).
Diritti ed obblighi sorgerebbero a carico del cliente e del mediatore, in altri termini, non tanto sulla base di un previo accordo, ma per la semplice attività di messa in relazione delle parti (atto giuridico in senso stretto) operata dall'intermediario, con l’effetto che, in assenza di negozio, non avrebbe neppure senso discutere di recesso ma, eventualmente, di autonoma e libera decisione di interrompere ogni collaborazione prestata dal professionista e di non avvalersi più del suo intervento.
Ciò posto, va comunque rilevato che la prevalente giurisprudenza - anche sulla base di indici normativi variamente rinvenibili nella collocazione sistematica della fattispecie all'interno del codice civile oltre che nella stessa disciplina introdotta con la legge 3 febbraio 1989 n. 39 ed istitutiva del Ruolo mediatori - è oggi concorde nel riconoscere alla mediazione la natura di vero e proprio contratto, precisando poi che, a formare il relativo consenso tra le parti in esso coinvolte, potrebbero concorrere tanto dichiarazioni espresse (sia nella forma dell'incarico vero e proprio, sia nella forma del consenso all'intervento del mediatore), quanto fatti concludenti, e cioè dichiarazioni tacite di volontà desumibili dall'atteggiamento di chi consapevolmente utilizza l'opera del mediatore.
In secondo luogo, sorvolando sull'ulteriore problema relativo alla corretta individuazione del momento in cui possa dirsi effettivamente concluso il contratto di mediazione, essendo controverso se tale evenienza ricorra a seguito del conferimento dell'incarico all'intermediario ad opera di una sola parte o se, viceversa, necessiti comunque l'accordo di tutti i soggetti interessati sull'opportunità di avvalersi del professionista (la giurisprudenza è incline nel dare preferenza alla prima opzione), merita di essere qui sottolineato che, tra peculiarità del rapporto di mediazione, vi è la caratteristica connotazione delle posizioni giuridiche generalmente riconosciute all'intermediario da un lato ed al cliente dall'altro.
Al mediatore, infatti, non avrebbe alcun "obbligo" di ricercare potenziali clienti per la conclusione dell'affare, dovendo piuttosto riconoscersi in capo al mediatore un mero "onere" di attivarsi se ed in quanto interessato ad ottenere la provvigione; al secondo, di riflesso, l'ordinamento attribuirebbe sempre e comunque una libera facoltà di recesso anche in assenza di giusta causa, e ciò senza neppure incorrere nella responsabilità di cui all'art 1337 c.c. nei confronti dell'agenzia incaricata. (cfr, in tal senso, Cass. civ., sez. III, 24-05-2002, n. 7630).-
Tanto premesso, e venendo più direttamente all'esame del quesito prospettato, deve però rilevarsi che proprio la giurisprudenza non ha mancato di riconoscere indiscussa validità a clausole particolari pure frequentemente inserite nei contratti di mediazione, attraverso le quali l'incaricante si assoggetta all'impegno di corrispondere la provvigione anche in caso di revoca anticipata dell'incarico. Gli stessi giudici, poi, hanno anche confermato la piena compatibilità con il rapporto mediatizio di pattuizioni ulteriori volte a garantire un diritto di esclusiva al professionista, con la conseguente impossibilità, per il cliente, di avvalersi dell'opera di altri mediatori e, talvolta, persino di negoziare direttamente l'oggetto dell'incarico, per tutta la durata di questo.
Secondo la Cass. civ., sez. III, 16-02-1998, n. 1630, invero, "i patti di esclusiva e di irrevocabilità temporanea sono compatibili con il rapporto di mediazione, in quanto rappresentano delle semplici cautele ai fini di un non motivato ripensamento del proponente, legittimamente consentito nell'ambito dei poteri di autonomia spettanti alle parti. E' possibile, infatti, rendere atipica la mediazione, dando al rapporto una regolamentazione diversa da quella legale, stabilendo il diritto del mediatore al compenso anche nel caso di revoca anticipata dell'incarico oltre che - come per legge (art. 1755 cod. civ.) - al verificarsi della conclusione dell'affare"
Si parla a ragion veduta, allora, in tali casi, di mediazione atipica, proprio perché le parti, avvalendosi dell'autonomia contrattuale loro riconosciuta dall'ordinamento, mutano la struttura del negozio giuridico codificato agli art. 1754 e seguenti del c.c. e trasformano il rapporto in qualcosa d'altro e di diverso rispetto al tipo negoziale della mediazione. Se ciò è vero, alterandosi lo schema fissato...

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