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Se anche il contratto preliminare ad effetti anticipati produce l’effetto traslativo reale.-
Se anche il contratto preliminare ad effetti anticipati produce l’effetto traslativo reale.-

Il preliminare non anticipa "l'effetto traslativo del diritto" proprio del definitivo: anche la Corte di Cassazione ha, più di una volta, scrutinato una fattispecie negoziale ormai invalsa nei traffici commerciali e, tuttavia, problematica: quella del negozio preparatorio (nella specie, contratto preliminare) ad effetti cd. anticipati ovvero dove il promissario versa parte del prezzo e, contestualmente, è immesso preventivamente nel godimento del bene. La situazione giuridica in esame, come evidenziato anche in dottrina, è, invero, il portato d'una prassi contrattuale sviluppatasi, essenzialmente nel settore immobiliare, in ragione della sua attitudine a fornire uno strumento idoneo a soddisfare sollecitamente determinate esigenze delle parti, principalmente la disponibilità del bene per l'una e del denaro per l'altra.-
Anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati - che pure ha certo portata ben più pregnante del paradigmatico pactum de contraendo - è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l'effetto traslativo reale.-

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 17 dicembre 2009 - 1 marzo 2010, n. 4863 (Presidente Proto - Relatore Bernabai)
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 20 giugno 1992 l'Alfa s.r.l., la Beta s.r.l., la Gamma s.r.l. e la Società Generale Costruzioni - S.G.C. s.p.a. convenivano dinanzi al Tribunale di Pescara la signora M. D. per sentirla condannare al rilascio di un appartamento e di un negozio siti in Pescara e da lei occupati a seguito di un contratto preliminare di compravendita stipulato con la S.G.C. prima del suo fallimento. Esponevano che la curatela non aveva mai consentito alla stipulazione del contratto definitivo e che degli immobili avevano invece acquistato la proprietà le prime tre società in forza del concordato fallimentare omologato che prevedeva il loro obbligo di soddisfare i creditori concorsuali a fronte della cessione di tutti i beni della società fallita. Costituitasi ritualmente, la signora D. eccepiva, in via preliminare, la carenza di legittimazione attiva delle società assuntrici del concordato, in carenza del decreto di trasferimento, da parte del giudice delegato, degli immobili rivendicati; nel merito, deduceva di esserne divenuta proprietaria, automaticamente, in virtù del precedente contratto da lei stipulato - da qualificare come vendita obbligatoria di cose future, e non come preliminare di compravendita - una volta ultimata la loro edificazione; o, alternativamente, a titolo originario, per usucapione da possesso ultraventennale. Chiedeva, quindi, in via riconvenzionale, l'accertamento del proprio diritto di proprietà. A seguito del decesso della D., il giudizio proseguiva con il subingresso degli eredi R. G. e R. M.. Integrato il contraddittorio nei confronti della curatela del fallimento S.G.C. - che, costituendosi, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva a seguito della chiusura della procedura concorsuale, omologata con sentenza passata in giudicato - il Tribunale di Pescara con sentenza 29 giugno 1998 rigettava la domanda principale e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava l'usucapione degli immobili; con condanna delle società attrici Alfa, Beta e Gamma alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti dei convenuti e loro compensazione invece tra il fallimento S.G.C. e questi ultimi. I successivi gravami - principale, delle società, e incidentale dei sigg. R. - venivano respinti dalla Corte d'appello di L'Aquila con sentenza 3 settembre 2004. La corte motivava - che la curatela difettava di legittimazione passiva a seguito del passaggio in giudicato della sentenza omologativa del concordato fallimentare, con recupero della capacità sostanziale e processuale della S.G.C.; - che erano del pari carenti di legittimazione attiva le tre società assuntrici, mai divenute proprietarie degli immobili in mancanza di prova dell'allegata emissione del decreto di trasferimento in loro favore da parte del giudice delegato; - che la domanda non poteva ritenersi svolta dalla S.G.S. s.p.a. in bonis, limitatasi ad intervenire ad adiuvandum, con richiesta, solo in subordine, dell'accertamento del proprio diritto di proprietà in caso di risoluzione del concordato; - che era pure infondato il gravame incidentale condizionato, volto all'accertamento della natura di contratto di vendita obbligatorio di cosa futura, e non di contratto preliminare: qualificazione da escludere sulla base degli elementi letterali della scrittura privata, già valorizzati dal tribunale e non contestati in modo specifico dai signori R.. Avverso la sentenza, non notificata, proponevano ricorso per cassazione l'Alfa s.r.l., la Beta s.r.l., la Gamma s.r.l., la s.p.a. Società Generale Costruzioni, nonché il curatore del fallimento S.G.S. (con la formula “per quanto occorrer possa”) con atto notificato il 24 gennaio 2005. Deducevano 1) la violazione degli articoli 130 e 136 legge fallimentare e dell'art. 1356 cod. civile, giacché la sentenza di omologazione del concordato costituiva titolo immediato e diretto del trasferimento degli immobili, di cui il successivo provvedimento del giudice delegato aveva solo funzione integrativa ed esecutiva: onde, sussisteva la loro legittimazione a richiedere il rilascio dell'immobile acquistato. In ogni caso, la legittimazione attiva costituiva solo una condizione dell'azione, integrabile nel corso del processo, e nella specie era stata sicuramente acquisita dopo che il giudice delegato, con decreto 31 ottobre 2002, aveva disposto procedersi al trasferimento degli immobili ed il curatore vi aveva provveduto con atto pubblico 18 dicembre 2002; la cui produzione, nel giudizio di legittimità, doveva intendersi consentito ex art. 372 cod. proc. civ. al fine di dimostrare l'ammissibilità del ricorso. In subordine, doveva riconoscersi alle società assuntrici la legittimazione in pendenza della condizione sospensiva dell'acquisto, consistente nell'adempimento degli obblighi concordatari (1356 cod. civ.), o quanto meno alla Società generale costruzioni tornata in bonis, o in alternativa, alla curatela: a pena di ritenere il patrimonio del fallito inammissibilmente privo di titolare e abbandonato a se stesso. 2) La violazione degli articoli 1158 e seguenti, 1166, 2941 e 2942 cod. civ. e la carenza di motivazione in ordine all'accertamento dell'acquisto per usucapione, non essendo stata fornita la prova del trasferimento del possesso in forza del contratto preliminare, né dell'animus possidendi in capo alla signora D.: incompatibili, entrambi, con la natura obbligatoria, e non reale, del diritto costituito in suo favore. Oltre a ciò, faceva difetto l'elemento psicologico dell'inerzia della proprietaria S.G.C. s.p.a., che aveva perduto la capacità di agire per ottenere il rilascio dell'immobile, a seguito del fallimento dichiarato nel 1974. Resistevano con controricorso i sigg. R. G. e M., che svolgevano altresì ricorso incidentale subordinato per violazione dell'art. 1472 cod. civ. nella negazione della natura definitiva del contratto di compravendita di cosa futura stipulato dalla loro dante causa. Entrambe le parti depositavano memorie illustrative ex art. 378 cod. proc. civile. All'udienza del 17 dicembre 2009, dopo la riunione dei ricorsi ex art. 335 cod. proc. civile, il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, di contenuto variegato, le società ricorrenti deducono la violazione degli articoli 130 e 136 della legge fallimentare e dell'art. 1356 cod. civile. La censura è articolata sotto più profili che occorre esaminare partitamente. Viene in considerazione, in via preliminare di rito, la questione dell'ammissibilità della produzione del decreto con cui il giudice delegato avrebbe autorizzato il trasferimento degli immobili, nelle more del giudizio, e del conseguente atto pubblico 18 dicembre 2002 che vi avrebbe dato attuazione. Sul punto, deve accogliersi l'eccezione d'irricevibilità sollevata nel controricorso. I documenti in questione non valgono, infatti, a dimostrare l'ammissibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 372, primo comma, cod. proc. civile. Questa è, infatti, del tutto incontroversa sotto il profilo della legittimazione ad impugnare, che deriva dalla qualità di parte processuale già assunta nei gradi di merito da tutte le società ricorrenti. In realtà, ciò che s'intende provare mediante la documentazione allegata è, piuttosto, la titolarità del diritto di proprietà degli immobili, che sarebbe ormai stata acquisita dalle società con l'atto pubblico offerto in esibizione: e cioè, una circostanza di fatto attinente alla questione di merito posta a fondamento della sentenza di rigetto della domanda, sia in primo che in secondo grado. È vero che la legittimazione attiva - rectius: la titolarità del diritto vantato dalle attrici - è condizione dell'azione (Cass., sez. 3, 30 maggio 2008, n. 14468), verificabile, quindi, fino al momento della decisione; senza che a quest'ultima debba assegnarsi il significato restrittivo, prospettato dai resistenti, di decisione di primo grado. Tuttavia, cosa diversa dall'astratta rilevanza della condizione sopravvenuta è il regime di prova del fatto costitutivo che la sostanzia, soggetto alle regole preclusive proprie di ciascun grado di giudizio. A tale stregua, resta inammissibile, nella fase di legittimità, qualsiasi attività istruttoria, sia pure documentale; ed il fatto sopravvenuto può trovare ingresso nel thema decidendum solo se oggetto di esplicita ammissione della controparte che lo renda pacifico. Nella specie, peraltro, i signori R. non hanno affatto confermato l'altrui acquisto del diritto, contestando, anzi, la natura incondizionata ed efficace del decreto del giudice delegato, a loro dire meramente autorizzativo della vendita. Ne consegue che la circostanza integrativa della condizione dell'azione resta controversa e non può trovare dimostrazione aliunde, per via documentale (art. 372 cod. proc. civ.) Viene ora all'esame la tesi subordinata dell'acquisto della proprietà degli immobili per effetto della stessa sentenza omologativa del concordato fallimentare, con cui si disponeva l'alienazione dei beni della S.C.G. s.p.a. agli assuntori. Al riguardo, dev'essere ribadito il costante orientamento che a tale pronuncia riconosce natura di titolo diretto ed immediato del trasferimento dei beni del fallito nel patrimonio dell'assuntore, di cui segna, di conseguenza, il dies a quo (Cass., sez. 3, 13 aprile 2007, n. 8832; Cass., sez. 2, 8 novembre 2002, n. 15.716). Essa attua, infatti, come corrispettivo dell'accollo dei debiti del fallito, il trasferimento dei suoi beni, che fino a quel momento erano assoggettati al vincolo di indisponibilità in favore...

... continua
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