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QUESITO N. 358: Se il proprietario di un immobile avente destinazione ad uso abitazione ed accatastato come tale, intende locare l’appartamento ad un professionista, che intende adibirlo a proprio studio, dovrà stipulare un contratto ad uso abitativo o ad

Quesito n. 356: Se il proprietario di un immobile avente destinazione ad uso abitazione ed accatastato come tale, intende locare l’appartamento ad un professionista, che intende adibirlo a proprio studio, dovrà stipulare un contratto ad uso abitativo o ad uso non abitativo?


Nel tempo vari provvedimenti legislativi speciali hanno disciplinato i contratti di locazione; tra le numerose leggi si rammentano: la L. 23 maggio 1950, n. 253, la L. 12 agosto 1973, n. 841, la L. 27 luglio 1978, n. 392, la L. 5 aprile 1985, n. 118, la L. 13 agosto 1992, n. 359, la L. 9 dicembre 1998, n. 431, il d.P.R. n. 380 del 2001.
La disciplina delle locazioni di immobili urbani destinati ad uso diverso dall’abitazione è contenuta nel capo II, titolo I della legge 27 luglio 1978, n. 392 e differisce complessivamente dalla disciplina della locazione d’immobili urbani adibiti ad uso abitazione, prevista dalla legge n. 431/1998.
La locuzione “uso diverso da quello di abitazione” fa riferimento, tra l’altro, all’esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo. Per il caso della locazione di un appartamento ad uso studio si applicherà, pertanto, la disciplina delle locazioni di immobili ad uso non abitativo.
Va precisato che, ai sensi dell’art. 80 della legge 392 del 1978, se il conduttore adibisce l’immobile ad un uso diverso da quello pattuito il locatore ha facoltà di chiedere la risoluzione del contratto, entro il termine di tre mesi dal momento in cui ha conoscenza del mutamento di destinazione. Il successivo comma 2 dell’articolo succitato prescrive che l’inerzia del locatore comporterà ex lege l’applicazione al contratto del regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile.

Quanto agli adempimenti amministrativi connessi al mutamento dell’uso dell’immobile sarà necessario distinguere le ipotesi in cui si voglia contestualmente effettuare delle opere edilizie e quelle in cui il mutamento avvenga senza la realizzazione di opera alcuna (principio ribadito in giurisprudenza da Cass., 22 novembre 2004, n. 22041). L’art. 10 comma 2 del D.P.R. n. 380/2001 prevede, infatti, che le Regioni stabiliscano con legge quali mutamenti dell’uso di immobili o di loro parti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, siano subordinate a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.
(Per quanto attiene in particolare alla regione Campania, l’art 2 della Legge Regionale 28 novembre 2001 n. 19 prevedeva che i mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro parti, che non comportassero interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, di volumi e di superfici, potessero essere realizzati a seguito di semplice denuncia di inizio attività, a condizione che la nuova destinazione d’uso fosse compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone territoriali omogenee).
Ai sensi dell’ articolo 49 comma 4-bis del decreto legge 31 maggio 2010, n.78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n.122, la D.I.A. è stata però sostituita dalla S.C.I.A. (segnalazione certificata d’inizio attività). La norma ha creato una vera confusione in ordine alla esperibilità della nuova procedura in materia edilizia, in quanto le nuove disposizioni hanno sì sostituito l'articolo 19 della legge 241/1990, ma senza modificare esplicitamente il testo unico edilizia (il Dpr 380/2001). A mezzo di una nota  ...

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